Lorenzo De Feo, detto Laurenziello, fu un temuto brigante del Sud Italia, operante agli inizi dell’800 nella provincia di Principato Ultra (come allora si chiamava l’Irpinia), la Terra di Lavoro (antica regione, soppressa dal Fascismo, che comprendeva l’attuale Pianura Campana-Sannio, il Lazio meridionale e il Molise) e la Puglia. Nacque il 25 giugno 1777 a Santo Stefano del Sole da Giuseppe De Feo e Maria Romano. In balia della più totale povertà, venne assoldato tra i bravi del Marchese di Santa Lucia di Serino, compiendo soprusi e omicidi in suo nome [1]. Dopo aver avuto una discussione violenta con Saverio de Feo, capo della Guardia Urbana di S. Stefano, pensò di “darsi alla macchia” affermando testualmente “‘Se mi do alla campagna, devo far piangere i figli dal corpo delle madri”.
Dopo essere stato arrestato per alcuni reati comuni, la sua pena venne commutata in servizio militare: infatti, Lorenziello, al servizio di Ferdinando IV, nel 1806 partecipò alla difesa di Gaeta, assediata dai francesi che avevano invaso il Regno borbonico. Successivamente, si aggregò alla banda di Fra Diavolo, che aveva il compito di alleggerire con la guerriglia la pressione esercitata dai francesi [2].
Tornato in Irpinia, in breve tempo, dichiarandosi anti-francese, mise insieme una banda di oltre 60 briganti (e brigantesse) provenienti anche dai Comuni vicini (Serino, Volturara, Montella, dove trovava supporto logistico) e, spostandosi in tutto il territorio, compì ogni sorta di delitto: furti, rapine, estorsioni, omicidi, stupri ed addirittura stragi e saccheggi di numerosi centri abitati, anche in pieno giorno [3].
Nella sua attività delinquenziale, Laurenziello trovava appoggio sia nella popolazione che nei notabili locali sanfedisti, favorevoli ad un ritorno di Ferdinando IV [4].
Ciò nonostante, nel Comune di Santo Stefano del Sole il brigante compì due atroci delitti. Il primo avvenne il 30 marzo 1809 quando, sulla strada che porta da Cesinali a Serra, fece uccidere dal brigante Mafone il giovane Arciprete di S.Stefano Marco De Feo (8 settembre 1775 – 30 marzo 1809), colpevole di aver scomunicato lui e la sua banda, mentre lasciò in vita il garzone che lo accompagnava, Gaetano Feola, al solo fine di tornare in paese e comunicare alla popolazione della vendetta del brigante [5].
Il sacerdote di Cesinali, Pasquale Cocchia, che compose la storia di Laurenziello in versi, scrisse:
“Ma più di tutti il perfido Mafone
aveva di stragi una crescente sete,
siccome apparirà dal mio sermone:
di Santo Stefano uccise l’Arciprete,
mentre andava a cavallo in Avellino
non sospettando il suo crudel destino.
Non ebbe manco il tempo il poveretto
di fare alla Madonna una preghiera
che due palle gli trasse in mezzo al petto.
Facendogli veder l’ultima sera:
indi spirar voleva senza ragione
al cavallo ed al piccolo garzone.”
Ricercato dalle truppe di Gioacchino Murat, dovette fuggire in Puglia, continuando la sua opera distruttiva, e dove ebbe uno scontro con un reggimento francese, dal quale riuscì a salvarsi [6].
Pochi mesi dopo, il 3 agosto 1809, il brigante fece ritorno a Santo Stefano, dove compì un’orrenda strage: mentre il popolo, al termine della S. Messa in onore del Santo patrono, era riunito nella piazza ad ascoltare la musica, egli entrò nella piazza, sparando, da Capocasale. Parte del popolo riuscì a barricarsi nella Chiesa Madre insieme all’Arciprete Vito De Feo, che fece sbarrare le porte, mentre il resto del popolo tentò di fuggire per i vicoli, ma vennero inseguiti dai briganti e colpiti. Dirigendosi verso Piedicasale entrò nella casa di Antonio Pisapia, caporale, ed uccise la moglie, con il neonato che stringeva in braccio. Il Sindaco di S. Stefano, Ciriaco de Feo, fu trascinato in piazza dai briganti, per essere attinto da vari colpi di carabina e poi finito dai mastini di Laurenziello. Tra le vittime più nobili vi fu un sacerdote di Aiello del Sabato, colpevole di aver insistito nel portare conforto ai moribondi nonostante l’ordine di allontanarsi dato dai briganti. Nel complesso, ogni famiglia di Santo Stefano ebbe delle vittime: i morti furono più di 30, i feriti molti di più.
Il sacerdote Pasquale Cocchia, a proposito di quell’evento nefando, prosegue nel suo libro:
“Un giorno ch’era festa al suo paese,
con tripudio di suoni e lieti canti,
dalla montagna rapido discese,
Laurenziello con tutti i suoi briganti
e, pervenuto dentro al villaggio
opera egli fece di barbaro selvaggio!
Dei cittadini la devota festa
in lutto convertì lo scellerato,
chè di colpi mortali una tempesta
incominciò per tutto l’abitato.
Ritrarre in carta ed adeguar parlando
chi può quello spettacolo nefando?
San Stefano di stragi era già pieno,
vedevansi in mucchi tanti corpi avvolti,
là feriti sui morti, e qui giaceano
sotto morti insepolti egri sepolti…
Cessato pascia il miserando scempio,
sazio sul monte ritornò quell’empio.”
Dopo la strage del 3 agosto, molti dei briganti vennero uccisi o catturati negli scontri con le truppe francesi.
Laurenziello, il fratello Luigi e altri briganti riuscirono a fuggire e trovare rifugio presso un compagno che abitava nella Terra di Lavoro. Tuttavia, allettato dalle taglie poste dal Re Murat sulla testa di Laurenziello e i compagni, questi lo tradì e il brigante venne ferito e catturato il 17 novembre 1811 a Moschiano e processato presso la Corte Criminale di Avellino.
Laurenziello, il fratello e altri tre briganti furono impiccati in Largo dei Tribunali, l’attuale Piazza della Libertà di Avellino, il 6 maggio 1812 . L’esecuzione si svolse in circostanze anomale: infatti, i presenti all’esecuzione narrano che il brigante chiese da bere, ma non fu ascoltato; allora emise un forte grido di rabbia che fece fuggire la folla impaurita. A causa della confusione, si credette che il brigante fosse riuscito a liberarsi, e all’esercito che presiedeva l’esecuzione fu dato immediatamente l’ordine di sparare sulla folla, così causando circa quattro morti e decine di feriti, molti dei quali furono calpestati dagli zoccoli dei cavalli.
Le disposizioni date dalle Autorità furono che: “Le cinque teste de’ Briganti devono esser recise e collocate nel modo qui’ appresso, cioè: Quella del Capobrigante Laurenziello al Bivio consolare che conduce ad Atripalda situata in cima di un lungo trave. L’altra di Luigi de Feo all’ingresso del comune di San Stefano sua patria. E le altre tre di Terra di Lavoro si spediranno con una lettera all’Intendente di Nola per collocarsi ov’egli crederà più opportuno“.
Il suo corpo venne, quindi, lasciato in piazza per dodici ore; dopo gli fu reciso il capo, che fu, infine, chiuso in una gabbia ed esposto in cima ad un lungo palo a Porta di Puglia. Un mulattiere, che era stato molte volte vittima del brigante, si avvicinò al palo e, scuotendolo, disse: “Oh Laurenziello! Laurenziello! Quante me n’hai fatte passare!”. La gabbia, essendo stata scossa, si staccò cadendo sulla testa del mulattiere, che morì per il trauma cranico. Questo fatto, sebbene accidentale, accrebbe la triste fama di Laurenziello, per cui è rimasto il detto: “Laurenziello pure ‘roppo muorto facivo ‘natu ‘micirio”, ovvero “Laurenziello, anche dopo essere morto, compì un altro omicidio”.
Note:
[1] Il primo omicidio, commissionato dal Marchese di S. Lucia, fu di un tale ‘Zi Tonno, ricco proprietario di Atripalda. Riporta il Colacurcio (Colacurcio G., op. cit. pag. 106) che il Marchese C. D. F., “fingendogli amicizia, come per togliere gli antichi rancori”, l’invitò con sé a pranzo. Mentre l’uomo percorreva la strada che conduce a Serino, arrivato “al punto in cui la strada viene intersecata dalla via mulattiera che mena da S. Pietro ad Oglio a S. Michele” (via Fiume Sabato, n.d.r.), udì chiamare il suo nome. Egli, voltandosi, fece appena in tempo per vedere Lorenziello puntargli un’arma contro ed esplodere alcuni colpi che lo attinsero al petto, uccidendolo.
[2] Cfr., ex multis, Monnier Marc, Notizie storiche documentate sul brigantaggio nelle provincie napoletane dai tempi di Frà Diavolo sino ai giorni nostri, G. Barbera ed., Firenze, 1863, pagg. 12 ss.; De Matteo Giovanni, Brigantaggio e Risorgimento: legittimisti e briganti tra Borbone e i Savoia, A. Guida, 2000, pagg. 76 ss.
[3] Cfr. Colacurcio G., op. cit. pagg. 108 ss..
[4] Cfr., ex multis, De Matteo Giovanni, op. cit., pagg. 76 ss.; 372 ss.
[5] Questo il racconto che ne fa il Colacurcio: “Era il Giovedì della Settimana Santa dell’anno 1809 e, come si sa, in tal giorno ogni Arciprete o Parroco rurale va (…) dove risiede il Vescovo per rifornirsi de’ nuovi Olii Santi (…). Don Marco era accompagnato da un garzoncello chiamato Gaetano Feola (…). Giunto in quel punto della strada rotabile, dove questa s’incrocia con la strada mulattiera che da Cesinale mena alla contrada Serra, la quale si dice in quel punto Cupale, ecco sbucare da un angolo cinque briganti con Lorenziello alla testa. Uno di costoro afferrò il cavallo per le briglie e lo tenne fermo. (…) Lorenziello gli diceva concitatamente: “È giunto il tempo di farti pagar cara la scomunica che ha lanciata contro di me, i miei compagni ed i miei amici!” e, rivoltosi a Pasquale De Blasi soprannominato Mafone (…) disse: “Togli dal mondo costui!”. (Marco) trasse dal petto lo scapolare della Vergine del Monte Carmelo e, mostrandolo a’ briganti, disse: “Per questa Vergine Santissima concedetemi un minuto di tempo, acciò possa chiedere a Dio perdono de’ miei peccati!”. Ma non fu esaudito, perché due colpi della carabina (…) gli trapassarono il petto, facendolo piombar giù da cavallo cadavere. E (…) volevano uccidere anche il garzoncello col cavallo, ma poi il lasciarono libero sol per lo scopo di far giungere presto in paese la notizia dell’assassinio del suo padrone”.
[6] Lo stesso Colacurcio (Colacurcio G., op. cit. pagg. 109 ss.) racconta l’episodio: “un giorno un Reggimento di fanteria […] ebbe l’accorgimento di chiuderla (la banda) in un casone […]. I briganti e le brigatesse erano sessanta tutti forniti di cavalli; ma i soldati erano mille e più di scelta truppa. Eglino avevano circondato il casone d’un regolare assedio, avevano presidiati gli sblocchi, ed aspettavano due cannoni (…). Lorenziello, non vedendosi attaccato a colpi di fucile, pensò che i soldati aspettassero i cannoni per schiacciarlo senza pericolo delle loro persone. Stavano i suoi feroci compagni sdraiati a terra con gli occhi rossi come bragia, ed aspettavano muti e corrucciati la imminente morte. Alcuni piangevano (…); altri indirizzavano voti a’ Santi ed alla Madonna per la loro liberazione; (…). Avanti a costoro, dopo di aver tutto seco stesso medicato, si presentò Lorenziello con volto ilare (…). Egli aveva notato che i distaccamenti della truppa erano appostati lontani l’uno dall’altro; bisognava per uno di tali varchi fuggire, anche sfidando una più che certa grandine di palle. (…) La truppa, sfornita in quel momento di cavalleria, era impossibilitata ad inseguirli (…). Sellarono i cavalli, li cavalcarono e si misero in fila nel vasto casone, pronti agli ordini di Lorenziello. I soldati, sicuri ormai che i briganti non potessero loro fuggire, dopo d’aver consumato il rancio, sdraiati sotto le tende sonnecchiavano; solo rare sentinelle stavano all’erta. Quand’ecco, in un momento, la grande porta del casone si spalancò, e d’essa si slanciarono fuori i briganti come strali, carponi sui cavalli. Quando i soldati cominciarono a tirar contro d’essi i colpi di fucile, erano già tanto lontani da non poter essere tocchi dalle palle”.
Fonti:
– Melillo Andrea , Santo Stefano del Sole. Un insolito viaggio tra storie, leggende, luoghi e tradizioni, A cura della Pro loco Santostefanese, 2019
– Colacurcio Giuseppe, Notizie storiche del comune di S. Stefano del Sole, Uffici della Campana del Mattino, Napoli, 1914;
– Archivio storico per la Calabria e la Lucania, Volumi 42-43, 1975;
– Barra Francesco, Cronache del brigantaggio meridionale. 1806-1815, Salerno-Catanzaro, 1981;
– Carpentieri Alfonso (Son Ramiro), Lorenziello nella storia e nella leggenda. Conferenza popolare tenuta nella sala del r. Liceo Colletta il 3 nov. 1901, f.lli Maggi edit., 1902;
– Cocchia Pasquale, Vita e morte del famigerato Capobrigante Lorenzo De Feo di S. Stefano del Sole. Sestine.;
– Comitato della Mostra di ricordi storici del risorgimento nel mezzogiorno d’Italia, Mostra di ricordi storici del risorgimento nel mezzogiorno d’Italia, Napoli, 1912;
– Corso Raffaele, Il Folklore italiano, Volumi 1-2, 1925;
– Corvino Claudio, Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità della Campania, Newton & Compton, 2002;
– De Matteo Giovanni, Brigantaggio e Risorgimento: legittimisti e briganti tra Borbone e i Savoia, A. Guida, 2000;
– Gaudioso Francesco, Brigantaggio, repressione e pentitismo nel Mezzogiorno preunitario, M. Congedo, 2002;
– Lucarelli Antonio, La Puglia nel Risorgimento (storia documentata), 1951;
– Monnier Marc, Notizie storiche documentate sul brigantaggio nelle provincie napoletane dai tempi di Frà Diavolo sino ai giorni nostri, G. Barbera ed., Firenze, 1863;
– Moscati Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg, 2005;
– Palatucci Ferdinando, Montella di ieri e di oggi, Laurenziana, 1969;
– Rambaud Jacques, Naples sous Joseph Bonaparte, 1806-1808, Librairie Plon, Paris, 1911;
– Samnium: pubblicazione trimestrale di studi storici regionali, Tip. Ist. Maschile V. Emanuele III, 1935;
– Società storica irpina. Irpinia rassegna di cultura., Pergola, 1930;
– Stassano Antonio, Memorie storiche del Regno (1799-1821), Edizioni Osanna, 1994.
A cura di Andrea Melillo, già autore della relativa pagina di Wikipedia.